Siamo disposti ad amare?

Non possiamo proprio farne a meno. Come bere e dormire, come respirare e sognare. Perché è lì che vive, nelle stesse zone del cervello che si occupano dei nostri bisogni essenziali. Da diversi millenni lo bramiamo, ascoltiamo, seguiamo. E lo chiamiamo amore.

Amore. Significa così tanto, che spesso facciamo fatica a riconoscerlo, ma è quello che riceviamo che ci tiene in vita. Sentirsi amati dona vita. Allunga la vita.

Così come capiamo ogni anno di più che il microbioma è fondamentale per le nostre difese immunitarie contro le malattie più feroci, allo stesso modo iniziamo a dare un valore diverso all’amore e ai suoi atti. Ai suoi gesti.

Sì, perché amare non è solo sentire, provare, ma anche fare, dare, donare, trasmettere. La maggior parte delle volte accade attraverso un gesto. Una lettera di un padre alla figlia, una carezza sulla spalla a un anziano, un abbraccio sentito all’amico in difficolta, le parole giuste di vero incoraggiamento a chi è smarrito, lo sguardo d’amore che riscalda il volto, la premura, la cura, la mano tesa, la luce accesa per chi teme l’oscurità, il sorriso a chi attraversa la strada, l’applauso al musicista appassionato, la risata alla battuta intelligente, il regalo pensato, la torta fatta in casa, il letto rifatto, i fiori sul tavolo, la pelle sfiorata.

L’atto d’amore è il più meraviglioso gesto inconsapevolmente egoistico che possiamo fare. Nutre l’altro e noi stessi.

Eppure parlare d’amore, oggi, con questa fiera delle vanità, di presenzialismo, di bullismo mediatico, di equilibrio tra indolenza e tracotanza sembra un linguaggio desueto.

Perché regna un po’ di confusione tra l’avere cura per sé, l’amare se stessi e lo smettere di amare gli altri. 

Sono due mondi diversi e collegati. Difficile amare il prossimo come se stessi se non si ha amore pe la vita che abbiamo ricevuto in dono. Impossibile amarsi senza amare l’altro, perché da amore diventa ossessione narcisistica, quasi sempre orientata al dimostrare, quindi al cercare di rafforzare una propria identità piuttosto fragile.

C’è un sottile equilibrio tra i due amori, che avvengono nel momento in cui le due cose si equiparano. Forse la frase corretta sarebbe stata “ama il prossimo tuo esattamente come te stesso”. E soprattutto ama chi ti è prossimo. Non l’idolo, la proiezione, lo sconosciuto. Ma chi ti è prossimo, ti è accanto e ci sarà prima, durante, o dopo di te. 

Allora sì che l’amore avrà espressione vera. Il resto saran chiacchiere da chat, frivolezze, scuse, giustificazioni, tentativi, errori, o più facilmente sbagli, eccessi scenografici, gruppi di autoaiuto dove si è gli unici presenti e protagonisti.

Non posso pensare a un futuro dove la gente non sia più capace di amare qualcuno. Non solo di innamorarsi, infatuarsi, lasciarsi sospingere dalla pura passione. Ma “amare, oltre il camare”, l’essenza dell’altro, dei suoi gesti. Sarebbe una vita spenta, elettronica, tecnologica, priva di uno dei motori della vita. Come respirare, dormire, bere. O sognare.

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