Da Pirandello a Paperino.
Dal “so di non sapere” al “È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di una buona fortuna debba essere in cerca di una moglie.” Da “Fui un morto con la licenza di vivere.” All’abusato “Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni.”
Ironia
Non Ironman, anche se talvolta il personaggio sa essere ironico, ma ironia.
Deriva da εἴρων (eírōn), ovvero “colui che finge di non sapere”, una figura tipica della retorica greca. Gli si contrappone ἀλαζών (alazṓn), il millantatore, colui che finge di sapere ciò che non sa.
Il primo usa l’intelligenza critica per far emergere la verità, evidenzia l’assenza d’informazioni, per esempio o il contrasto, il secondo mostra una consapevolezza che non possiede, e parla a sproposito.
L’ironia, per definizione, è tutto ciò che non c’è. È la capacità di accorgersi dell’assenza, di farla emergere con leggerezza, senza cadere nella commiserazione, o nel giudizio. L’ironia è un punto di vista obliquo e consapevole: mette a fuoco le contraddizioni dell’esistenza. Sorridendo (l’ironia vive del gerundio, perché è adesso).
Su una scala evolutiva della comunicazione umana, l’ironia si colloca più in alto della comicità o del sarcasmo, e forse non è lontana da quella consapevolezza profonda dell’essere equanime.
La risata dell’errore
La comicità è la forma più immediata e accessibile dell’umorismo. Si fonda sull’errore, sul fraintendimento, sull’esagerazione fisica o comportamentale. È la gag, il gesto buffo, la parola fuori posto. La comicità fa ridere del mondo e degli altri, spesso in modo bonario, ma superficiale: non sempre ci chiede di pensare, ma solo di reagire (come Fantozzi, lavora sull’umore).
Aristofane, già nel V secolo a.C., metteva in scena personaggi grotteschi e situazioni assurde per ridere della politica e dei costumi di Atene.
Plauto, nella Roma antica, costruiva equivoci comici che faranno scuola nei secoli. In lui è evidente il tema del burlesco e burla, dal latino burrŭla, scherzo.
Molière, nel Seicento francese, fa ridere delle ipocrisie borghesi (ipocrita era l’attore greco che imitava un altro attore nel rappresentare colui che non era) attraverso personaggi caricaturali come l’Avaro o il Tartufo.
Carlo Goldoni, in Italia, mette in scena la vita quotidiana con ironia e leggerezza, ma anche con meccanismi comici ben oliati e molto amati dal pubblico.
Nei tempi moderni, la comicità sopravvive in autori come Woody Allen (nei racconti brevi come nei primissimi film), o in alcuni momenti di David Foster Wallace, dove la comicità linguistica rasenta l’assurdo (ab+surdus, allontanare+parlare saviamente). È una forma d’arte nobile, ma che spesso resta legata al corpo e al comportamento. Si ride, ma raramente ci si interroga.
L’affilato senso di superiorità
Il sarcasmo è un gradino più su, ma decisamente meno nobile. È un tipo di umorismo che deride e smaschera, ma lo fa con aggressività, con una superiorità implicita. Etimologicamente, “sarcasmo” viene dal greco sarkázein, che significa “lacerare la carne”: non si limita a ridere dell’altro, lo riduce.
Charles Bukowski fa spesso uso del sarcasmo nei suoi racconti. I suoi personaggi sono cinici, disperati, e il suo tono è corrosivo, distante, spesso brutale: “Non ero un uomo. Ero una scoria. Una bestia che beveva birra e scopava in silenzio.”
Jonathan Swift, nel celebre Una modesta proposta, usa il sarcasmo in modo spietato: propone (ovviamente per assurdo) di risolvere la fame in Irlanda mangiando i bambini dei poveri. È una provocazione geniale, ma carica di disprezzo (de-specere, guardare dall’alto) verso l’ipocrisia della classe dirigente.
Il sarcasmo ha forza, ma poca compassione: per far ridere, ha bisogno di colpire.
Il sorriso dell’intelligenza
L’ironia è qualcosa di più raro, sottile, profondo. Non colpisce, non umilia, non cerca la risata immediata: cerca il sorriso consapevole, quello che nasce dal riconoscere una verità nascosta. L’ironia sa mostrare l’assenza senza recriminarla, vedere il paradosso (dal greco pará-doxon, contro+credere comune) senza accusare.
Pirandello, maestro del relativismo “Io sono colui che mi si crede”, costruisce i suoi personaggi attorno alla frattura tra ciò che sono e ciò che sembrano. Nei suoi testi non si ride: si sorride amaramente.
Jane Austen, con la sua prosa elegante, smaschera le regole della società vittoriana con una fine ironia: i suoi personaggi crescono proprio grazie a questa distanza critica dalle convenzioni.
Guareschi, spesso frainteso come autore comico, è invece profondamente ironico. I suoi Don Camillo e Peppone si scontrano e si rispettano; è attraverso un’ironia affettuosa e morale che Guareschi ci mostra un’umanità vera, fragile e splendidamente imperfetta.
Paolino Paperino (Donald Duck, per gli anglofoni) è tutto, ironico, sarcastico, comico. E non dipende solo dai più grandi narratori delle sue storie, i famosi Carl Barks o Guido Martina, ma dalla connotazione italiana del personaggio di Giorgio Cavazzano o Rodolfo Cimino (ricordano Guareschi e Calvino),
È comico quando cade da una scala, litiga con i nipotini o con lo zio Paperone, fa disastri al lavoro, si veste da palombaro per inseguire un sogno assurdo.
Paperino è ironico perché è consapevole del proprio fallimento, e spesso commenta la propria condizione con amara lucidità. Come Quando si lamenta con se stesso della vita che non cambia mai, si sforza di fare il bravo… e peggiora tutto, guarda il mondo dei ricchi (Paperone) o dei “perfetti” (Gastone) e sa di essere sempre l’ultimo della fila, ma ci mette comunque dignità.
L’ironia in Paperino è nella sua filosofia esistenziale. È la coscienza dell’assurdo, raccontata con tenerezza.
L’ironia è intelligenza emotiva in forma narrativa, una chiave di lettura dell’esistenza e non solo del nostro quotidiano. Lavora anche sul linguaggio, attraverso giochi di parole, assonanze, doppi sensi. Non fa ridere: fa pensare. Sorridendo.
