Le meraviglie dell’ignoranza

Viviamo in un’epoca in cui l’ignoranza è prodotto, intrattenimento, linguaggio condiviso. Non è il vuoto tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo, è diventata un ecosistema, un mercato, un’identità possibile.

Il paradosso? Mai, nella storia umana abbiamo avuto così tanto accesso all’informazione, e mai come oggi siamo stati così esposti al fascino dell’ignoranza.

Non perché siamo “più stupidi” di prima, ma perché l’ignoranza, oggi, conviene. A qualcuno porta soldi, ad altri porta consenso, a molti porta sollievo.

L’ignoranza vende

Perché è semplice. La complessità stanca, la sfumatura non fa clic, il dubbio non genera engagement. Per vendere, oggi, una cosa deve essere:

  • veloce da capire
  • facile da condividere
  • emotivamente carica

L’ignoranza, in questo senso, è perfetta. Un titolo storto, una frase estrema, uno slogan che semplifica il mondo in due squadre: giusti e sbagliati, noi e loro, buoni e cattivi. La conoscenza, al contrario, è faticosa; chiede tempo, pretende che tu ti metta in discussione, ti costringe a dire “non lo so” prima di dire “è così”. L’ignoranza no: ti offre la sensazione di sapere, senza il costo del capire.

L’ignoranza diverte

L’ignoranza non è solo disinformazione: è anche intrattenimento. La risata sulla cosa che non capiamo. Il meme che banalizza un tema complesso. La battuta che scarica un problema enorme in un hashtag. Non c’è niente di sbagliato nel ridere, anzi. Il problema è cosa siamo disposti a sacrificare in nome del divertimento: la verità, la profondità, la dignità di chi diventa bersaglio. (Ehi, detto tra noi, il sarcasmo, il nutrire l’ironia delle debolezze altrui, non è mai stato un gran pregio, solo un privilegio).

Quando una persona colta, competente, che studia e argomenta viene percepita come “pesante”, mentre il cinismo superficiale fa il pieno di applausi, è lì che possiamo cogliere quanto l’ignoranza sia diventata spettacolo.

L’ignoranza è algoritmica

Significa che non è più solo una nostra tendenza umana: è integrata nei meccanismi tecnologici che regolano ciò che vediamo. Gli algoritmi non hanno opinioni, hanno obiettivi: tempo di permanenza, numero di clic, interazioni. E cosa genera più clic di qualcosa che ci indigna, ci fa arrabbiare, ci conferma nei nostri pregiudizi? L’ignoranza è fatta proprio di questo:

  • conferme facili alle nostre convinzioni
  • frasi shock che scavalcano il ragionamento
  • contenuti emotivi, binari, esagerati

Così l’ignoranza diventa “ottimizzata”: viene spinta, amplificata, riproposta. Non perché sia “cattiva”, ma perché funziona. E ciò che funziona viene premiato.

L’ignoranza è sociale

L’ignoranza oggi è un collante. Non è solo non sapere, è sapere poco tutti allo stesso modo. Quante volte, per non sentirci esclusi, preferiamo stare sul piano del luogo comune? È più rassicurante dirsi frasi preconfezionate, che esporsi con un’opinione informata che magari rompe l’armonia del gruppo. L’ignoranza è comoda nelle conversazioni di massa:

  • non mette in imbarazzo nessuno
  • non obbliga a dire “non lo sapevo”
  • non crea gerarchie visibili tra chi ha studiato e chi no

In questo senso, sì, l’ignoranza è profondamente sociale: permette di stare insieme senza affrontare le nostre differenze di consapevolezza, di cultura, di responsabilità.

L’ignoranza è democratica

Qui sta una delle sue seduzioni più forti: l’ignoranza è accessibile a tutti. Per essere ignoranti non servono soldi, titoli di studio, contatti. Chiunque può avere un’opinione forte su qualsiasi cosa.
E nel mondo delle opinioni tutte messe sullo stesso piano, chi ha studiato vent’anni e chi ha guardato un video di trenta secondi vengono percepiti come “due punti di vista”. È democratica: l’ignoranza non esclude nessuno, non discrimina: è aperta, inclusiva, orizzontale. Chiunque può parlare di tutto, subito.

Se non fosse tragico, sarebbe quasi poetico.

Anzi, se non fosse autodistruttiva, sarebbe meravigliosa

Se l’ignoranza si limitasse a essere un gioco sociale, un difetto umano tra gli altri, potremmo persino conviverci con leggerezza. Il problema è che l’ignoranza, a lungo andare, distrugge:

  • la qualità del dibattito pubblico
  • la fiducia nelle competenze
  • la capacità di riconoscere chi mente e chi no
  • il senso critico delle nuove generazioni
  • le basi stesse della democrazia, che ha bisogno di cittadini informati, non solo “opinionati”.

Un popolo ignorante è manipolabile. Un consumatore ignorante è sfruttabile. Una persona ignorante è vulnerabile, spesso senza accorgersene. L’ignoranza non è neutra: produce conseguenze concrete, sulle scelte politiche, sulle decisioni sanitarie, sull’ambiente, sull’economia, sulle relazioni. Ecco perché è autodistruttiva: mentre ci diverte, ci semplifica la vita e ci fa sentire parte di qualcosa, intanto erode le condizioni che rendono possibile una società vivibile.

Uscire dalla sindrome di Stoccolma

Non possiamo eliminare l’ignoranza: è intrinseca alla condizione umana. Ci sarà sempre qualcosa che non sappiamo, e va bene così. Ma possiamo scegliere se esserne ostaggi o responsabili.

Essere ostaggi significa:

  • difendere con arroganza ciò che non sappiamo
  • rifiutare chi ne sa di più per paura o invidia
  • confondere il diritto ad avere un’opinione con il diritto a ignorare i fatti

Essere responsabili significa:

  • riconoscere i propri limiti
  • cercare fonti serie, non solo comode (quindi non solo AI)
  • accettare che capire richiede tempo, silenzio, fatica
  • non condividere tutto ciò che ci emoziona, ma solo ciò che regge alla verifica

Non si tratta di diventare tutti esperti di tutto, ma di fare un piccolo atto di resistenza quotidiana: non regalare la nostra attenzione, la nostra fiducia e la nostra voce al primo contenuto ignorante che ci fa ridere, arrabbiare o sentire “dalla parte giusta”.

Perché la libertà non è il diritto di rimanere ignoranti: è il coraggio di non accontentarsene.

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