Leggermente serio

Sei serio? Sì. Dici sul serio? No.
Quante accezioni ha questa parola. Le basta un’intonazione per capovolgere il significato. Mica un accento o cosa, basta una semplice inflessione.
Ma tu, dico a te, tu sì, sei serio?
Perché il passaggio da affidabilità a pesantezza, è un attimo. Ti distrai e ti scopri palla al piede. E non è che ci tenga, nessuno di noi, a essere noioso. Tedioso. Grave. Tutti vorremo essere portatori di serenità e gioia negli altri, usando ciò che pensiamo di avere a disposizione, come l’attenzione, il cuore, un talento, o una abilità. Me ne viene in mente una, una antipatica come poche: l’autorevolezza. Alcuni di noi hanno una autorevolezza sorretta da carisma, che non ha pari. Anche quando dicono cose tipo: «Oggi ho mangiato un piatto di lasagne!» Pare che solo loro abbiano mangiato un piatto di lasagne; solo loro conoscano nel profondo le lasagne. Lo dicono in modo tale, che tutti noi li guardiamo e pensiamo: «Grande!» «Come mangia le lasagne lui…» «Certo che… Ne sa un botto quello, di lasagne!»
Questo carisma che sostiene l’autorevolezza nel comunicare, è una miscela rischiosa per chi ascolta (non posso non credergli), ma impegnativa per chi parla, perché lo porta a una nuova responsabilità. Diventa l’Esperto di Lasagne.
Chi ha autorevolezza e carisma, genera aspettative. E a meno che non sia un gaglioffo dell’ultim’ora, cercherà di essere all’altezza delle attese di chi ha creduto in lui. Quindi farà di tutto per ottenere il risultato, magari concentrandosi così tanto da diventare serio. Molto serio. A volte grave.
Autorevolezza comporta responsabilità, responsabilità porta a serietà.
A volte non si è davvero seri, si è solo seriosi, si imita la propria serietà. Questa ci diverte, ci alleggerisce. Eppure noi vorremmo che il chirurgo mentre ci opera, fosse serio, non serioso. Che il politico, mentre gestisce i nostri “danari da gabelle”, fosse serio, mica facesse scena. Anche l’automobilista sull’altra corsia, lo vorremmo serio.
Insomma, pretendiamo serietà negli altri!
Non ci basta. Serietà, accompagnata da una gran bella leggerezza. Ma sì, dai, siamo nell’epoca della leggerezza. Vorremmo leggerezza da tutti, basta questi musi lunghi, queste lamentele, questi mortori… Leggerezza, insomma, vita! Vi-ta! Ahhhh… Che bene.
Bene?
…Circa.
Seria leggerezza? O ci basta una leggera serietà? Insomma, cosa pretendiamo dagli altri?
Chi taccia gli altri di troppa leggerezza, o troppa serietà, parte dal presupposto di sapere quando essere serio e leggero nei momenti giusti. In base a cosa? Chi decide? Chi ha più autorità, o chi gliel’ha riconosciuta?
Riconosciamo l’autorità negli altri, per poi poterla giudicare.
Spesso giudichiamo, pontifichiamo, decidiamo cosa sia bene, o male, a prescindere dalla nostra competenza ed esperienza. Giudichiamo con seria leggerezza, così il nostro Ego potrà dormire sonni più tranquilli: “tranciare due o tre giudizi a sera, prima di coricarsi”.
Siamo seri?
Quando deleghiamo responsabilità, tipo a quello sopra, quello con carisma e autorevolezza sulle lasagne, iniziamo a entrare nel mondo del giudizio. E ne sappiamo sempre più degli altri. Chirurghi, politici, automobilisti… Magari senza nemmeno sapere come funzioni un bisturi, senza mai aver fatto volontariato in un gruppo, o letto la costituzione, senza avere la patente, o guidato in strade diverse dalla nostre. Noi ne sappiamo a pacchi, per questo ci permettiamo di giudicare la serietà e la leggerezza degli altri, in particolare di coloro cui abbiamo affidato qualche forma di autorità.
Un tuffetto nella modestia, talvolta, così tanto per sciacquare i panni in Arno, ci farebbe mica male. Magari saremmo un po’ più seri e vivremmo un po’ più leggeri. Senza dover dimostrare niente. A nessuno.

Giuliano Pellizzari

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