Sono sempre stato scettico e ingenuo. O meglio, sono sempre stato scettico, perché mi credevo un ingenuo. Quindi mani ben davanti, fiducia massimo al settanta percento e via, ad affrontare nuovi pensieri.
Perché è lì, il punto. Ho sempre desiderato vedere e conoscere, incontrare e leggere. Soprattutto leggere, perché è più comodo per me e il mio amico Ego, ben sdraiato sul divano di mamma, tv accesa, copertina e ciao mondo. Negli anni Ego ha cambiato i divani, molti divani e anche le copertine, i plaid. Ma sempre sdraiato accanto a me stava. Pronto a non farmi fare passi in cui sarebbe stata messa in discussione la sua posizione.
Poi un venerdì pomeriggio, dopo una traversata di seicento chilometri, mi ritrovo sui colli di Assisi. Una magnificenza già quelli. Arrivi a Assisi e già sorridi. Non so perché, saranno gli ulivi e i cipressi allineati a indicare il cielo, sarà che la gente va li per pregare, ma quando arrivi a Assisi, sorridi. Tra questi colli in una strada senza fine, inerpicata tra boschi e panorami da dipinto, un piccolo cartello giallo: Ananda. Certo che prima mi ero letto tutto su internet, che ti credi, io ho Ego sempre accanto sul divano, che mica molla! Quindi avevo già tutto il mio scetticismo con me. Mi portano, mica vado, mi portano… In una comunità dove si fa Yoga e meditazione, ti pare che prima non mi sia letto tutto su di loro? Ego è uno così, uno che quando dici a te stesso «bello», lui risponde «prova a scrivere vicino qualche parola negativa, qualcosa di brutto, vedrai che troverai, non fidarti.» Il parcheggio è ampio e sono pronto per questa nuova avventura: un corso introduttivo a yoga e meditazione, dal titolo affettuoso. Scendo armato di borsone con tuta da ginnastica, magliette, calzini, mutande, tre preconcetti, quattro chili di scetticismo, un paio di dubbi e la mia solita presunzione (Ego è sdraiato sul sedile posteriore… Non si era sentito bene durante il viaggio, mi vedeva felice del percorso).
E incontro le prime persone. Cos’hanno da sorridere tutti? Perché son contenti? Di cosa? Entro, carte, sorrisi, chiavi stanza, sorrisi, esco, sorrisi, c’è la prima lezione tra pochi minuti, sorrisi.
Una quiete che risuona nelle campane tubolari mosse dal vento. Niente TV, TG, Social, telefono, internet. Entro in una grande struttura con vetrate aperte sulla splendida vegetazione. Faccio quello che fanno gli altri. Tappeto, altro tappeto, cuscino e mi tolgo i calzini. Che rimetto subito perché fa mica caldo seduti ad ascoltare. Sto per iniziare gli esercizi di supercoscienza, così si chiamano e arriva Ego. Lo riconosco, perché mi fa subito notare gli altri. Chi si muove bene, chi male, chi è imbranato come me, che ho l’elasticità di una quercia centenaria. Non è colpa mia, mi avvisa Ego, è che il motto della mia famiglia è frangar non flectar, mi spezzo, ma non mi piego. Vorrei fosse il contrario a fine lezione. Ego si quieta quando cerco di entrare nella mia prima meditazione. Non c’è spazio per entrambi. Già son pieno di cose che passano nella mente, figurati se c’è posto anche per lui e il suo divano. Lo vedo allontanarsi, un po’ avvilito, trovare un po’ di sedie allineate e stare lì. Poi è sera, si cena, si ascoltano dei cori, si fa l’introduzione al corso. Ego è vigile e presente, c’era anche a cena, ma non aveva niente da ridire. Adesso sì, pronto a parlare al posto mio quando ci si presenta: «Salve, sono Dio, e son qui in terra con voi perché siete fortunati…»Ego! Un limite alla decenza. Vai a dormire. «Sì ma hai visto quello?» Smettila di giudicare, fila via!
E fu notte e fu mattino, primo giorno, sveglia all’alba.
Dalla colazione in silenzio mi accorgo che il cibo ha un sapore. Non è che abbia scelto cose incredibili, però non sono abituato alla frutta a colazione, al porridge e tutto il resto. Insomma, il silenzio aumenta il sapore del cibo. Anche il gusto di incontrare le persone che si sono conosciute il giorno prima, senza parlare, solo sguardi e sorrisi.
Poi mi propongono il Karma Yoga. E io salto, ovvio, ti pare? Faticare? Poi Ego si stanca, già lo trascuro un po’. Quindi ho un po’ di tempo, girovago e guardo. E ascolto, perché son mica tutti in silenzio. È che son tutti alla ricerca di sé stessi, di capirsi un po’ meglio, di conoscersi. So che deve esserci parecchio di me, che ancora non conosco. Soprattutto c’è di me una parte che non riesco a cambiare. Deduco manchi la forza di volontà.
«Non ti serve cambiare, perché se avessi voglia di cambiare, lo faresti in un secondo.» Ego è un gran consolatore. Furbetto, ma consolatore.
Mi fermo davanti una sorta di rettangolo con quattro pareti in vetro e una stufa nera. Ci son panche e tavoli in legno, entro, c’è gente che legge, o che scrive al computer. Eleggo questa come nuova postazione della mia vita, estraggo il PC dallo zaino e inizio a scrivere. Il posto ha tutto un suo perché. Una splendida creatura mi porta una Tisana, che sorseggio mentre le dita scorrono sulla tastiera agili come non mai. Esce un grazie, dura poco, ma era sentito. Guardo l’ora, corsi. Vado, anche se con la coda dell’occhio vedo Ego seguirmi.
Il corso ti mette in discussione. Il Prossimo Passo? Intanto mi costringe a raccontare i fatti miei a uno che non conosco: me stesso. Per farlo c’è una sorta di erosione degli strati di pregiudizi e preconcetti, un lavoro enorme, facilitato dallo scrivere lì, a sé stessi. Quante volte mi sono scritto e quante volte non sono arrivato a questi livelli di interiorizzazione? Capiamo, ci sono aspetti ludici, alternati a quelli emozionali, a quelli di ascolto. C’è un metodo. La cosa più semplice è provare a capire che pensieri ti passino per la mente quando sei lì, seduto in cerchio con altre venti persone, in silenzio con gli occhi chiusi. Svolazza di tutto nella nostra mente. La chiamano la scimmia pazza, ma non sanno cosa possa muoversi nella testa di uno che della creatività ha fatto un mestiere. A volte un branco di gorilla si agitano nella mente. E poi inizi. Un giorno alla volta, un passo alla volta, a capire cosa sia la leggerezza, quando si avvolge per danzare con l’intensità. Ed è tutto dentro di te. Ego suggerisce «suggestioni», ma Ego è stato sbugiardato al primo intervento a voce alta nel gruppo: «Io e il mio Ego, vorremmo capire meglio…» Tutti hanno riso, ma Ego offeso a morte, è un permalosone, mi lascia libero di esplorare. Così oso. Oso praticare la respirazione, comprendere che lo yoga non è ginnastica, ma preparazione alla meditazione, fino a diventare esso stesso meditazione. Per me, che mastico tabelle pivot come fossero patatine (talvolta insieme) e ho la convinzione di aver letto più libri di molti coetanei (fosse solo perché non so giocare a calcio), è un bel trauma mettermi lì, in ascolto di me.
Non parlo, ma ascolto. Pensavo di ascoltare gli altri, qualche saggio che dall’alto avrebbe pontificato… Non pontifica nessuno. Persone normali. Più normali del normale, quindi speciali. In cammino, come dicono loro. E lo comprendi ascoltandole nelle pause, dai corsi, conoscendole quando mangi con loro, vedendo che quella, che per alcuni sembra una guida intoccabile, è lì a togliere la gramigna dalle aiuole comuni. Lo intuisci dall’accoglienza. Perché se siamo tutti sullo stesso piano, se non ci sono Dei tra i mortali, d’improvviso relazionarsi è facile. Quindi non ho fatto… Non sono uno che… Non ci sono limiti alla pura e limpida condivisione. Anche con un anziano, friulano, unito a questa comunità molti anni prima, mi racconta come ha lavorato per costruire quel tempio con un soffitto in legno che ti fa star bene solo a guardarlo. E la sua storia è semplice, come le sue parole, come vorresti intendere tu la vita. «Perché ha un senso. Questa vita qui, ha un senso. Non so quale, trovalo, ma ha un senso», mi dice.
Mi trovo a ripartire alla fine del weekend lungo, cantando in macchina cori, che prima avrei trovato buffi; allegro e spensierato come non ero da quando a vent’anni uscivo in barca con gli amici e finivamo in secca, perché eravamo troppo impegnati a cantare trottolino amoroso a squarciagola. Leggero.
Caspita, che sensazione, leggero.
Sono stato da loro, da voi, da noi, tante altre volte, per anni. Per ricordarmi l’origine di una cosa chiamata consapevolezza. Per ringraziare.
Quindi sì, confesso, che nella mia agenda c’è un momento intoccabile, o quasi, che si chiama Samadhi e che non è quello stato contemplativo di astrazione, come mi piacerebbe avere. Ma è un momento mio, di leggerezza e intensità.
Si tratta di capire, qui come in tutto il resto, come prendere ciò che ci accade, come ascoltare la propria reazione, come conoscere alcune aree di sé. Perché si può vivere in talmente tanti modi diversi in una vita sola, che almeno un paio meritano di essere conosciuti. Se si superano i dogmi e i preconcetti e i più semplici giudizi, facili da tranciare, ogni giorno, per chiunque e verso chiunque, allora già si aprono delle porte. Perché a nutrirci di emozioni facili, ci pensano già televisione e media, da una vita. Il nutrimento più profondo però, quello che permette di far germogliare la nostra vitalità, il nostro spirito, è nel conoscere noi stessi e in tutti gli aspetti possibili, accoglierci. Anche tu, sì, Ego, vieni qui, siamo amici. Mettiti lì e stai buono sul divano, tieni la copertina e addormentati davanti a qualcosa. Stai tranquillo, intanto io scrivo e ringrazio. Oggi come non mai. Ananda AssisiSahaja Mascia Ellero Barbara Turcatel Jayadev Jaerschky #ananda